Da sempre e ancora oggi, spesso mi si chiedono delucidazioni in merito alla differenza che intercorre fra l’astrologia e l’astronomia. In questa sede non posso essere esaustivo e dettagliato sull’argomento, poiché troppo vasto, tuttavia, sperando di far cosa gradita, cerco sinteticamente di esporne le basi. La mia vuole essere, anche, una sintetica risposta a tutti i detrattori dell’astrologia, i quali fondano le loro critiche su presupposti assolutamente errati.
Alla ricerca di un’astrologia incontestabilmente scientifica, gli antichi popoli mesopotamici si videro messi a confronto con la difficoltà, propria del sistema tradizionale, di definire chiaramente dove fossero situati i pianeti in cielo. Dicendo che Giove è ai piedi dell’Ariete o sul capo dell’Idra, che cosa si voleva intendere? Dove comincia una costellazione e dove finisce? Questo era un interrogativo importante, e non solo per l’astrologia, ma anche per la navigazione, che doveva basarsi su indicazioni precise. Il metodo prevalente consisteva nel definire la posizione dei pianeti in base alla distanza rispetto alle stelle fisse note. Benché il sistema funzionasse discretamente, tanto da essere utilizzato negli oroscopi greci di epoca romana, alla lunga non poteva risultare soddisfacente. In questo semplice problema astronomico risiede l’origine dello zodiaco come noi lo conosciamo. Si passò, cioè, nel V secolo a.C., a suddividere l’eclittica, ovvero il percorso su cui si muove il Sole nel corso dell’anno, in dodici parti di uguale grandezza, poi di nuovo ciascuna di queste in sezioni di 30 gradi, dal che risulta un’estensione complessiva dell’eclittica di 360 gradi. Nonostante le costellazioni zodiacali sull’orbita solare siano naturalmente di dimensioni diverse, ci si abituò a parlare di segni zodiacali della medesima grandezza, definendo la posizione dei pianeti rispetto ad essi. I primi 30 gradi dello zodiaco a partire dall’equinozio di primavera (ovvero la posizione in cui si trova il Sole all’equinozio) vennero chiamati «Ariete», i gradi da 31 a 60 «Toro» e così via, a prescindere dalla grandezza effettiva delle singole costellazioni. Non si finirà mai di sottolineare l’importanza della differenza tra segni e costellazioni, che ha provocato confusioni sin dall’antichità. Ancora oggi è infatti possibile (in circoli piuttosto disinformati) sentire criticare l’astrologia, che partirebbe da presupposti totalmente falsi, poiché anzitutto le costellazioni zodiacali non hanno tutte un’ampiezza di 30 gradi e, in secondo luogo, perché le costellazioni stesse si sono spostate nel corso del tempo. Una critica di questo genere cade totalmente nel vuoto, giacché sin dal V secolo a.C. l’astrologia non lavora più con le costellazioni, ma con segni fittizi in quanto parti dell’eclittica. (Del resto fino ad oggi hanno continuato ad esserci singoli astrologi che, altrettanto disorientati, hanno mostrato l’esigenza di utilizzare le costellazioni al posto dei segni).
Alla ricerca di un’astrologia incontestabilmente scientifica, gli antichi popoli mesopotamici si videro messi a confronto con la difficoltà, propria del sistema tradizionale, di definire chiaramente dove fossero situati i pianeti in cielo. Dicendo che Giove è ai piedi dell’Ariete o sul capo dell’Idra, che cosa si voleva intendere? Dove comincia una costellazione e dove finisce? Questo era un interrogativo importante, e non solo per l’astrologia, ma anche per la navigazione, che doveva basarsi su indicazioni precise. Il metodo prevalente consisteva nel definire la posizione dei pianeti in base alla distanza rispetto alle stelle fisse note. Benché il sistema funzionasse discretamente, tanto da essere utilizzato negli oroscopi greci di epoca romana, alla lunga non poteva risultare soddisfacente. In questo semplice problema astronomico risiede l’origine dello zodiaco come noi lo conosciamo. Si passò, cioè, nel V secolo a.C., a suddividere l’eclittica, ovvero il percorso su cui si muove il Sole nel corso dell’anno, in dodici parti di uguale grandezza, poi di nuovo ciascuna di queste in sezioni di 30 gradi, dal che risulta un’estensione complessiva dell’eclittica di 360 gradi. Nonostante le costellazioni zodiacali sull’orbita solare siano naturalmente di dimensioni diverse, ci si abituò a parlare di segni zodiacali della medesima grandezza, definendo la posizione dei pianeti rispetto ad essi. I primi 30 gradi dello zodiaco a partire dall’equinozio di primavera (ovvero la posizione in cui si trova il Sole all’equinozio) vennero chiamati «Ariete», i gradi da 31 a 60 «Toro» e così via, a prescindere dalla grandezza effettiva delle singole costellazioni. Non si finirà mai di sottolineare l’importanza della differenza tra segni e costellazioni, che ha provocato confusioni sin dall’antichità. Ancora oggi è infatti possibile (in circoli piuttosto disinformati) sentire criticare l’astrologia, che partirebbe da presupposti totalmente falsi, poiché anzitutto le costellazioni zodiacali non hanno tutte un’ampiezza di 30 gradi e, in secondo luogo, perché le costellazioni stesse si sono spostate nel corso del tempo. Una critica di questo genere cade totalmente nel vuoto, giacché sin dal V secolo a.C. l’astrologia non lavora più con le costellazioni, ma con segni fittizi in quanto parti dell’eclittica. (Del resto fino ad oggi hanno continuato ad esserci singoli astrologi che, altrettanto disorientati, hanno mostrato l’esigenza di utilizzare le costellazioni al posto dei segni).