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ASTROLOGIA BOOTE MITOLOGIA GRECA ROMANA
Si è narrato a proposito della costellazione dell’Orsa Maggiore il mito di Callisto tramutata da Zeus nell’animale astrale mentre il figlio Arcade saliva nel firmamento assumendo le sembianze di Boote (Bootes), che in greco significa “bifolco, carrettiere”. La costellazione che si trova di fronte al Carro è rappresentata da un uomo che tiene in una mano un bastone mentre con l’altra sembra invitare i buoi ad avanzare. Per questo motivo i Greci lo chiamarono anche Arctophylax, “guardiano dell’Orsa”. Per i Romani era “il mandriano dei sette buoi”, rappresentati dalle sette stelle del Gran Carro. Il mito non spiega tuttavia perché mai il figlio della ninfa si fosse trasformato in quella figura. Icario e il culto della vite Icario, attraversando i boschi di Maratona, aveva offerto un otre di vino ad alcuni pastori che si erano ubriacati e poi assopiti. I loro compagni, credendo che li avesse avvelenati, lo uccisero. Più tardi, quando i pastori che avevano bevuto il vino si furono risvegliati dal sopore, chiesero di Icario poiché lo volevano ricompensare. Gli assassini, temendo di essere puniti per il misfatto, fuggirono senza rivelare il luogo della sepoltura che si trovava sotto un pino. La tomba campestre venne poi scoperta dalla cagna del pastore, Maera, che condusse in quel luogo la figlia Erigone; la quale, disperata, si uccise impiccandosi all’albero. Erigone fu trasformata nella Vergine e Maera, morta di disperazione ai piedi della padrona suicida, nella stella Procione, nella costellazione del Cane Minore, mentre Icario diventava Boote. Prima di morire, la fanciulla aveva supplicato gli dei affinché spingessero le giovinette degli Ateniesi a seguire il suo tragico esempio fino a quando i loro padri non avessero scoperto e giustiziato gli assassini. Così avvenne. Gli Ateniesi, non sapendo che fare, consultarono l’oracolo di Delfi: Apollo rispose che, se volevano evitare quei suicidi, dovevano placare Erigone giustiziando i colpevoli. Così si fece e i suicidi cessarono. In ricordo di quel tragico evento, narra Igino, venne istituita una cerimonia in occasione della vendemmia, durante la quale le giovinette si dondolavano sull’altalena, inventata da loro, disegnando nell’aria una falce, simbolo di quella con cui si raccoglievano i grappoli. Ai rami dei pini appendevano delle maschere che, mosse dal vento, ruotavano in tutte le direzioni garantendo così la fertilità della vigna. E al vino aggiungevano, come oggi d’altronde, della resina. Igino cita anche un altro mito, sulla scia dell’astronomo Ermippo di Smirne, narrando che Zeus, sdegnato, aveva colpito con la folgore Giasone perché era stato l’amante di Demetra. Successivamente la dea partorì Filomelo e Pluto, frutti dell’amore adulterino. I due fratelli crebbero fra continui conflitti, incapaci di andare d’accordo; né da adulti i loro rapporti migliorarono: Pluto, diventato ricco, non voleva aiutare il fratello che invece era povero. Ma Filomelo non si diede per vinto: acquistò col poco denaro che aveva due buoi e costruì, primo fra gli uomini, un carretto: così poté vivere del suo lavoro di agricoltore. Ammirandone l’invenzione, la madre lo incastonò sulla volta del firmamento nelle sembianze di un contadino, chiamandolo il Bifolco. |