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ACQUARIO-PESCE AUSTRALE-DELFINO-ERIDANO
L’Acquario (Aquarius), una delle costellazioni più antiche, è rappresentato dalla figura di un uomo che con un braccio aperto nella direzione del Capricorno tiene in mano il lembo di un manto o un’asticella, mentre l’altro braccio, la cui mano si trova quasi a contatto con Pegaso, regge un’anfora da dove sgorga il Fluvius Aquarii che si svolge sinuosamente fino al Pesce Australe. E’ situato come il Capricorno e i Pesci nella parte del cielo detta “Acque celesti” o “il Mare”. Le stelle dell’ Acquario La parte più facilmente visibile dell’Acquario, una costellazione poco luminosa, è formata da un gruppo di quattro stelle a forma di Y, che rappresentano l’anfora da cui fuoriesce l’acqua: la stella ζ Aquarii, una binaria di magnitudine 3,66, è posta al centro della lettera Y, che è delimitata da π, η e γ Aquarii (una binaria di magnitudine 3,84), l’unica di questo gruppo che ha un nome: Sadachbia, da Al Sa’d al Alibiyah, con il probabile significato di “stella fortunata delle cose celate” o “dei nascondigli”. Anche il nome di altre stelle comincia con “Sad”, dall’arabo sa’d, “fortuna”. Sadalmelik è α Aquarii (di magnitudine 2,93), da al sa’dal malik, che significa secondo la versione tradizionale “la stella fortunata del re”: si trova sulla spalla sinistra. Sadalsuud è β Aquarii (di magnitudine 2,86), da sl sa’d al su’ud, “il più fortunato dei fortunati”: è situata sulla spalla destra. Ogni anno irradiano dall’Acquario tre sciami meteorici importanti. Il primo, quello delle η Aquaridi, raggiunge il massimo di quaranta meteore all’ora il 5 maggio. Le δ Aquaridi producono intorno al 28 luglio venti meteore all’ora. Lo sciame delle ι Aquaridi è il più debole: produce soltanto un massimo di sei meteore all’ora il 6 di agosto. Ogni sciame meteorico prende il nome della stella più vicina al suo radiante. Il Pesce Australe Il Fluvius Aquarii scendendo verso sud s’incurva per poi confluire, sotto le gambe della figura umana, nella bocca del Pesce Australe (Piscis Austrinus) che sembra berne tutta l’acqua. Pesce lo chiamavano già in Mesopotamia (KU6 in sumerico, zibbatu in accadico). Questa costellazione ebbe anche altri nomi in Occidente: Piscis Notius, che ha lo stesso significato, Piscis Solitarius o Piscis Magnus per distinguerla da quella dei Pesci; oppure Piscis Capricorni per la sua vicinanza all’omonimo asterismo. Nel cielo è più visibile della costellazione dei Pesci perché contiene la stella Formalhaut (α Piscis Austrini) che, con la magnitudine di 1,2, è una delle più luminose del cielo. Il suo nome, che deriva dall’arabo, significa “bocca del pesce” perché si trova in quella posizione, come già aveva rilevato Tolomeo. Culmina a mezzanotte del 6 settembre. Formalhaut divenne famosa fra il 4000 e il 2000 a.C. come una delle stelle reali, quelle che indicavano i quattro punti cardinali dei solstizi e degli equinozi: la seconda era Aldebaran per la primavera, la terza Regolo per l’estate e la quarta Antares per l’autunno. Le altre stelle della costellazione, che non hanno nomi, sono poco visibili perché non superano la magnitudine di 4,3. Il Delfino Nella regione stellare del Mare, poco sopra l’equatore, vi è una piccola costellazione, il Delfino (Delphinus), situata fra Aquila e Pegaso. Le stelle del Delfino La costellazione del Delfino, non molto luminosa, fu probabilmente ridotta da Ipparco quando creò l’Equuleus, il Cavallino. Le quattro stelle che formano il muso disegnano un rombo chiamato dagli Arabi “le Perle” e dagli astronomi moderni “la Bara di Giobbe”: sono α Delphini, di magnitudine 3,86, β, una doppia di magnitudine 3,78, γ, una doppia con componenti di magnitudine 4,3 e 5,1, e δ, una variabile di magnitudine 4,43. Le prime due furono chiamate rispettivamente Sualocin e Rotanev: nomi che, letti alla rovescia, rivelano l’autore, Nicolaus Venator, forma latinizzata di Nicolò Cacciatore: così si chiamava l’assistente e poi successore di Giuseppe Pizzi, direttore dell’Osservatorio astronomico napoletano, cui si deve un importante catalogo di stelle. I due nomi compaiono per la prima volta nel Catalogo di Palermo del 1814. Quanto a ε Delphini (di magnitudine 3,80, è detta Deneb Dulfin, da al dhanab al dulfim, “la coda del delfino”, perché è situata in quel punto. Ceto Nel Mare celeste nuota Ceto (Cetus), detta anche la Balena, benchè assomigli più a un mostro marino che al cetaceo. Quarta nel cielo per dimensioni, si estende sotto le costellazioni dei Pesci e dell’Ariete e fra l’Acquario e l’Eridano. Le stelle di Ceto Fra le sue stelle la più famosa è Mira (ο Ceti), ovvero “la meravigliosa, la stupefacente” per la sua luminosità che varia enormemente, sicchè talvolta la si vede a occhio nudo mentre altre volte è così debole da richiedere un potente binocolo o un telescopio. Il primo a notarla fu l’astronomo tedesco David Fabricius nella notte del 13 agosto 1596, quando credette di scorgere una stella “nova”. Nel 1603 Bayer la includeva nel suo catalogo classificandola di magnitudine 4,0. Qualche anno dopo, tuttavia, la stella scompariva misteriosamente. Nel 1683 Holwarda la notò nuovamente durante un’eclisse di Luna, ma qualche mese dopo non riuscì più a trovarla. Quella straordinaria variazione di luminosità venne confermata da altri astronomi, fra cui Hevelius, al quale si deve il nome di Mira. “La periodicità delle variazioni luminose” scrive Bianucci “fu ben stabilita soltanto nel 1667 da Bouillaud: mediamente nell’arco di 331 giorni Mira varia la sua luminosità per almeno 250 volte, oscillando la sua magnitudine fra 3,5 e 9. Ma in certi casi la punta massima è ancora più alta, come accadde il 6 novembre 1779, quando raggiunse la prima magnitudine, rivaleggiando con la vicina Aldebaran, nel Toro”. La lucida è β Ceti, di magnitudine 2,0, detta Deneb Kaitos, da al dhanab al kaitos al janubiyy, “la coda della balena” poiché è situata in quella posizione. Sul naso splende invece α Ceti (di magnitudine 2,52), detta Menkar, da al minhar, “naso”, perché si trova in quel punto dell’immagine astrale. Eridano Nel Mare celeste riversa le sue acque anche l’Eridano, che si snoda dal Toro, a nord, all’Idra Australe a sud. Manilio invece lo aveva prolungato sino a farlo incontrare nel Pesce Australe con l’altro fiume che fuoriusciva dalla situla dell’Acquario. E’ una costellazione molto estesa che contiene più di trecento stelle visibili a occhio nudo, ma di debole luminosità, e che forma con le volute due ferri di cavallo. Le stelle di Eridano Fino al secolo XVIII questa costellazione comprendeva anche le stelle che ora formano la moderna Fornace, situata su un lato a circa metà del percorso del fiume. Ma si estendeva soltanto fino a θ Eridani (una doppia di magnitudine 2,9), che allora era detta Achernar, da al ahir al nahr, “la fine del fiume”. Furono gli astronomi del Settecento ad allungare l’Eridano fino alle Nubi di Magellano, a quasi 60° sud, al disotto dell’orizzonte visibile dagli antichi Greci. L’astronomo inglese Edmund Halley la definì “ultima fluminis in veteri catalogo”. Sicchè θ Eridani, troppo a sud per essere visibile dall’Italia, perse il suo antico nome e venne chiamata Acamar, il cui significato non è stato accertato, mentre α Eridani (di magnitudine 0,53), che venne a trovarsi al nuovo confine meridionale della costellazione, ereditò il nome di Achernar. La stella più rilevante a nord, quasi all’inizio del fiume, è β Eridani (di magnitudine 2,8), detta Cursa, da al kursiyy al jauzah, “sgabellino, poggiapiedi”, perché è situata sotto il piede di Orione. La Nave Argo e la stella Canopo Fino al 1760 la Nave Argo (Argo Navis) era una costellazione unica, che si estendeva per 75° di arco nel Mare astrale, nell’estremo Sud del cielo. Poi, in quell’anno, il francese Nicolas-Louis de Lacaille la smembrò nel suo catalogo del cielo australe in tre parti: la Carena (Carina), la Poppa (Puppis) e la Vela (Vela). Offerto il doveroso tributo all’astronomia moderna, torniamo all’antica, ricostruendo la mitica nave che contiene nella carena la seconda stella del cielo in ordine di grandezza, Canopo: situata all’estremità dell’ultimo remo, al livello delle “acque”, è usata oggi come punto di riferimento per la navigazione delle sonde spaziali. Canopo non era menzionata da Arato, perché ai suoi tempi si trovava sotto l’orizzonte visibile dalla Grecia. Compariva invece nell’opera di Eratostene, che poteva osservarla da una latitudine più meridionale, ad Alessandria. Le stelle della Nave Argo La Nave Argo contiene molte stelle luminose che suddivideremo nelle tre costellazioni in cui è stata insensatamente smembrata la figura astronomica antica. Nella Carena, oltre a Canopo (α Carinae, di magnitudine -0,72), la seconda stella del cielo, che può essere vista già dalle coste meridionali del Mediterraneo, vi sono β, chiamata Miaplacidus (di magnitudine 1,68), dall’arabo mi’ah, plurale di ma, “acqua”, e dal latino placidus, col significato di “acque placide”; ε (di magnitudine 1,86), detta Avior; θ (di magnitudine 2,8), che fa parte di un brillante ammasso di stelle esteso in un’area pari a due volte a quella della Luna piena, e infine ι (di magnitudine 2,25), chiamata Turais, che significa in arabo “piccolo scudo”. Invisibile invece a occhio nudo è oggi η Carinae, la cui luminosità è variata straordinariamente nel passato, tant’è vero che nel 1843 s’infiammò a tal punto da diventare più brillante di Canopo; ma da quel momento la sua luminosità è scesa al disotto del livello di visibilità a occhio nudo, stabilizzandosi fra la sesta e la settima magnitudine. Nella Poppa la lucida è ζ Puppis, detta Naos, “nave”, di magnitudine 2,25. Poco meno brillanti sono ξ (di magnitudine 3,3), detta Azmidiske, traslitterazione scorretta del greco Aspidiske, “disco, dischetto”, e π di magnitudine 2,8. Nella Vela la lucida è δ Velorum, di magnitudine 2,0, λ (di magnitudine 2,2), detta Alsuhail, “sull’orizzonte”, μ di magnitudine 2,7, e κ (di magnitudine 2,5), detta Markab o Markeb, di significato incerto. Le stelle κ e δ Velorum formano insieme con ι ed ε Carinae un asterismo chiamato Falsa Croce, perché fu talvolta scambiato con la Croce del Sud. |