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ASTROLOGIA PEGASO MITOLOGIA GRECA ROMANA
Pegaso nasce dalla Gorgone, che altro non è se non l’immagine data dagli Elleni alla dea libica Neith, alla Grande Madre. Quanto al cavallo, originariamente era un animale ctonio associato la Grande Madre: sorgeva dalle viscere della terra o dagli abissi del mare. Figlio della notte, era come la Grande Dea portatore di vita e morte, legato all’acqua di cui conosceva i cammini sotterranei: per questo motivo aveva tradizionalmente il dono di far scaturire sorgenti con un colpo del suo zoccolo. Successivamente, con l’avvento della religione patriarcale indoeuropea, venne associato a Poseidone. Come osserva Graves, la leggenda della nascita di Pegaso da Medusa, fecondata da Poseidone, ricorda, pur con molte differenze, quella dello stesso dio che genera Arione in Demetra, trasformatasi non casualmente in una giumenta: “Ambedue i miti descrivono come gli Elleni devoti a Poseidone sposassero a forza le sacerdotesse della Luna senza lasciarsi impaurire dalle loro maschere di Medusa, e assumessero il controllo dei riti propiziatori di pioggia e del culto del cavallo sacro”. Per questo motivo si narrava che il primo cavallo fosse stato creato da Poseidone quando, in gara con Atena per il possesso dell’Attica, lo aveva fatto scaturire dalla terra. E non a caso si favoleggiava che Pegaso, balzato dal collo di Medusa, si era abbeverato alla fonte Pirene, sulla strada che conduceva al santuario di Poseidone. Poi era volato sul monte Elicona, dove un colpo dello zoccolo lunato aveva fatto scaturire Ippocrene, “la sorgente del cavallo”, alla quale le Muse si dissetavano nutrendo la loro ispirazione per poi volare alla volta dell’Olimpo cantando con voce sublime. Sicché Pegaso, che aveva fatto sgorgare la sorgente delle Muse, diventò l’emblema dell’immaginazione creatrice, del furore poetico. Nella rinascimentale villa Lante di Bagnaia sono mirabilmente rappresentati la fonte Ippocrene e il volo del cavallo, ovvero il furore poetico, nel giardino solcato da un gioco immaginifico di acque. Un giorno Pegaso venne catturato da Bellerofonte che aveva bisogno di quella creatura alata per compiere un’impresa disperata. Il giovane, figlio di Glauco, discendeva dalla casa reale di Corinto. Le sue vicissitudini erano cominciate con l’uccisione accidentale di un uomo la cui identità varia secondo le versioni del mito; a causa di quel delitto era stato costretto a lasciare la città e a recarsi a Corinto dove il re Preto lo aveva ritualmente purificato. Sfortunatamente la moglie del re, Antea, s’innamorò di Bellerofonte, che per gratitudine e per rispetto dell’ospite ne rifiutò le profferte. Il re della Licia, Iobate, dopo aver letto il messaggio sigillato dove il genero lo pregava di uccidere colui che aveva tentato di violentare la moglie, non ebbe il coraggio di compiere una simile azione nei confronti di un ospite. Sicché pensò di ottenere lo stesso scopo ordinandogli di uccidere la Chimera, un essere mostruoso, leone nella parte anteriore, drago nella posteriore e con una testa caprina che sputava fiamme. Quel mostro, generato da Tifone e da Echidna, devastava il paese e razziava il bestiame. Per compiere l’impresa Bellerofonte domò Pegaso; poi cavalcandolo riuscì a scovare la Chimera e, dopo averla ferita con le sue frecce, le conficcò fra le mascelle un pezzo di piombo che, fuso dall’alito rovente, scese nello stomaco uccidendola. La Chimera, sostiene Graves, era simbolo nel calendario arcaico dell’anno tripartito, sacro alla Mater Magna preellenica: il leone rappresentava la primavera, la capra l’autunno, il serpente l’inverno. Dopo l’invasione achea, che aveva subordinato la Grande Madre Era a Zeus, l’antico calendario fu soppresso a favore del nuovo. Iobate, deluso dal suo ritorno, lo mandò a combattere contro i bellicosi Solimi e le loro alleate, le Amazzoni: Bellerofonte li sconfisse volando col suo magico cavallo da cui lasciava cadere dei massi sulle loro teste. Il re, preoccupato, decise di farlo uccidere in un agguato dai suoi uomini più valorosi, ma l’invincibile Bellerofonte riuscì a salvarsi massacrando gli assalitori. A quel punto Iobate, cominciando a sospettare che il giovane fosse innocente e protetto dagli dei, decise di mostrargli la lettera del suocero. Fu soltanto allora che Bellerofonte gli confidò la triste storia; e il sovrano, saputa finalmente la verità, gli concesse in sposa la figlia Filinoe nominandolo erede al trono di Licia. Tutti quei successi avevano talmente esaltato il giovane che un giorno decise di volare sull’Olimpo con l’alato cavallo, quasi fosse un immortale. Zeus mandò allora un tafano che punse Pegaso facendolo sgroppare in modo da disarcionare Bellerofonte, il quale cadde ingloriosamente in un roveto. Da quel momento l’incauto giovane vagò sulla terra, zoppo, cieco, solo e maledetto, evitando le strade battute dagli uomini, finché lo colse la morte. Quanto a Pegaso, riuscì a raggiungere l’Olimpo dove Zeus l’accolse alloggiandolo nelle antiche stalle del monte. Da quel giorno si servì di lui per trasportare le folgori forgiate dai Ciclopi. Infine, per ricordarne la funzione, lo volle immortalare nel firmamento. |