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ASTROLOGIA LA LIRA MITOLOGIA GRECA ROMANA
Ermes era balzato, appena nato, dalla culla dove lo aveva posto la madre Maia, una delle Pleiadi. Uscendo dalla grotta trovò una tartaruga. Dopo averla uccisa ne svuotò il guscio sul quale tese, in onore delle sette Pleiadi, sette corde fabbricate con gli intestini degli animali sacrificati: era nata la prima lira. Camminando giunse nella Pieria, dove i sacri buoi degli dei beati avevano le loro stalle e pascolavano. S’impossessò di cinquanta vacche che spinse sul terreno sabbioso facendole camminare a ritroso in modo da ingannare chiunque avesse voluto ritrovarle. Aveva legato sotto i suoi sandali una bracciata di rami freschi di tamerice e mirto per dare l’impressione di essere un viandante che seguiva il cammino opposto con calzature originali. Si muoveva a zigzag, da un lato all’altro della strada. Giunto a Pilo, sacrificò due bestie e le divise in dodici parti, una per ciascuno dei dodici dei, assumendosi egli stesso nel pantheon olimpico come dodicesima e nuova divinità. Poi, dopo aver nascosto la mandria, si avviò verso la sua grotta sul monte Cillene. Nel frattempo Apollo cercava disperatamente le bestie che gli erano state sottratte: aveva percorso tutti i possibili sentieri della zona ma non era venuto a capo di nulla. Finalmente durante il suo peregrinare incontrò nel bosco sacro di Onchesto un vecchio che gli raccontò di un fanciullo. Poco dopo Apollo, grazie alla sua arte divinatoria, venne a sapere dal volo di un uccello con le ali spiegate che il ladro era il figlio di Maia. Rapidamente corse verso il monte Cillene ed, entrato nella grotta, si lamentò con Maia dicendole con voce severa che Ermes doveva restituirgli la mandria rubata. La madre laconicamente gli rispose indicandogli un bimbo che, avvolto nelle fasce, fingeva di dormire tranquillamente. Apollo, esasperato, agguantò il furfantello e lo portò sull’Olimpo accusandolo davanti a Zeus di furto. Dopo qualche abile tentativo di mentire, che divertì molto suo padre, Ermes fu costretto a condurre Febo fino al luogo dove aveva nascosto le bestie: là troneggiavano, appese a essiccare, le pelli delle due vacche sacrificate. Invaso da un’ira incontenibile, Apollo cominciò a legare il terribile fanciullo che, vistosi perduto, si ricordò della lira che portava con sé. Apollo, ammaliato dai suoni celestiali, gli propose un baratto che fu subito accettato: “Io ti lascio la mandria in cambio della lira”. Più tardi, mentre le vacche stavano pascolando, Ermes tagliò una canna trasformandola in una siringa, e suonò un’altra melodia. Apollo, nuovamente deliziato, gli propose un secondo baratto: “Tu mi darai la siringa e io in cambio ti regalerò il bastone dorato con cui raduno il bestiame”. Questa volta Ermes non fu più arrendevole perché non aveva nulla da rimproverarsi. “La mia siringa vale più del tuo bastone, ma accetto il baratto a patto che tu mi insegni l’arte augurale”. “Questo non lo posso fare” gli rispose Apollo. “Ma se tu andrai dalle mie vecchie nutrici, le Trie, che vivono sul Parnaso, ti insegneranno a leggere il futuro nei sassolini”. Così avvenne: le Trie insegnarono a Ermes come predire il futuro osservando la disposizione dei sassolini in un catino pieno d’acqua. Più tardi il dio avrebbe inventato il gioco divinatorio degli astragali. Orfeo e la lira Apollo donò infine la lira a Orfeo, il figlio del re tracio Eagro e di Calliope, la musa della poesia. Erano state le stesse Muse a insegnare la musica a Orfeo, che suonando e cantando riusciva ad ammansire le fiere e a fare ondeggiare dal piacere persino gli alberi e i sassi. Se Orfeo sia effettivamente esistito non sappiamo. In ogni modo alla sua mitica figura si è attribuita una produzione poetica di cui ci sono giunti soltanto frammenti e tardi riferimenti. Nella tradizione orfica, dionisismo e religione apollinea si conciliavano in una visione esoterica, sicché la parte più sacra e unitaria di quella poesia non è stata tramandata proprio per il suo collegamento – non divulgabile – con la sfera misterica. “Dioniso ed Eleusi” spiega a questo proposito Giorgio Colli “sono i presupposti di Orfeo: Orfeo racconta la storia del dio e avvia alla conoscenza suprema. Ma Orfeo suona la lira e canta: quindi con lui è Apollo che si mostra nel suo aspetto benigno, nella figura di “colui che concede Dioniso”. E poi la poesia è anche la parola, e la parola è il dominio di Apollo. La parola non può dire la visione suprema di Eleusi, la parola può soltanto prepararla, alludervi, suscitarla forse, e anche questo si addice ad Apollo, alla sua natura obliqua, indiretta, ambigua, questa volta usata con intenzione benevola, esaltante. Orfeo è il ministro di Apollo – si dice anche che sia suo figlio – e intesse storie di dei che mascherano la sapienza… Ma se l’uso rituale della poesia orfica è questo – preparare l’estasi misterica attraverso rappresentazioni sacre – la sua origine invece si rivela dettata da una prospettiva opposta. Difatti è l’estasi e la sua follia a fare sorgere la poesia di Orfeo, ed è qui che si mostra più profondo, più significativo il legame tra Dioniso e Apollo”. Secondo una tarda tradizione sincretistica, riferita fra gli altri da Diodoro Siculo, “Orfeo portò indietro dagli Egizi la maggior parte delle iniziazioni mistiche, i riti segreti intorno alle sue peregrinazioni e l’invenzione di miti riguardanti l’Ade. Infatti il rito di iniziazione di Osiride è lo stesso di quello di Dioniso mentre quello di Iside risulta quasi identico a quello di Demetra, e soltanto i nomi sono scambiati. Egli introdusse poi le punizioni degli empi nell’Ade, le praterie per gli uomini pii e la produzione di immagini suscitate dalla presenza della moltitudine, imitando ciò che accadeva intorno ai luoghi di sepoltura in Egitto”. Narra il mito che Orfeo aveva come sposa la driade Euridice. Un giorno la giovane, mentre stava passeggiando con le Naiadi in una pianura della Tracia, venne mortalmente morsa da un serpente. Sconsolato, il cantore degli dei decise di scendere agli inferi per riportarla sulla terra. Grazie alla lira e al canto ammaliatore riuscì a incantare tutti i custodi e ministri del regno tenebroso. Persino la sua regina, Persefone, ne fu conquistata a tal punto che decise di liberare Euridice permettendo a Orfeo di riportarla sulla terra, ma a patto che egli la precedesse senza voltarsi prima di essere tornato alla luce del Sole. Mentre i due sposi stavano uscendo dal mondo infernale, Orfeo, non riuscendo più a resistere alla tentazione di guardarla, si girò; e subito una forza irresistibile trascinò la giovane nel regno di Ade. Egli tentò nuovamente di scendere negli inferi; ma questa volta Caronte fu inflessibile. Vi è chi ha interpretato il mito come una delle tante allegorie della eterna lotta fra luce e buio, di cui sarebbero protagonisti il dio Sole-Orfeo, la dea dell’aurora e del crepuscolo, impersonata da Euridice, e il serpente della notte, simboleggiato da quello che aveva morso mortalmente la fanciulla: “E’ questo serpente” sostiene Sisti “che col suo morso uccide la luce che svanisce nella notte; ma qui, nel profondo del bosco, comincia il canto dell’usignuolo, il piccolo uccello che il bestiario greco identifica con Orfeo. Egli modula un ininterrotto e dolce canto d’amore, da sempre ispiratore ed ipnotizzatore dell’animo di poeti e amanti. Questo canto è così suadente che il serpente e la sua sacerdotessa, la dea lunare dell’Ade, restituiscono la luce alla fanciulla (l’Euridice-Aurora che rinasce col Sole nel nuovo giorno); ma appena il Sole riprende la forza, i suoi raggi fanno svanire la luce dell’aurora. Euridice ritornerà al termine del giorno nell’epifania di Esperos, il crepuscolo, ed il ciclo si riproduce giorno dopo giorno”. A sua volta Kerényi osservava che la promessa di non voltarsi, richiesta a Orfeo, rifletteva un’usanza antica, quella che imponeva di sacrificare agli dei inferi con la faccia voltata perché nessuno sguardo era permesso nell’Ade. La morte di Orfeo è stata narrata in modo diverso da tante versioni del mito. Si raccontava che il divino cantore, perduta Euridice, avesse offeso le donne tracie le quali, infuriate, l’avrebbero ucciso. I motivi di quel delitto variavano secondo le tradizioni mitiche: chi sosteneva che lo odiassero per la sua fedeltà a Euridice, interpretata come un’offesa a loro; chi raccontava che Orfeo, non volendo più avere alcun rapporto con le donne, si circondasse soltanto di adolescenti maschi. Si favoleggiava anche che al ritorno dagli inferi egli avesse istituito i Misteri proibendo alle donne di parteciparvi. Infine si narrava che fosse stato Zeus stesso a folgorarlo, irritato per le rivelazioni mistiche che egli aveva trasmesso agli iniziati. Anche Afrodite fu chiamata in causa: la dea si disputava Adone con Persefone. Per trovare una soluzione le due rivali si appellarono a Zeus che assegnò loro come giudice la musa Calliope, madre di Orfeo, la quale decise di assegnare il giovane per sei mesi all’una e per gli altri sei mesi all’altra. Il verdetto offese Afrodite, che si vendicò ispirando alle donne tracie una passione così veemente per Orfeo che, mentre stavano disputandoselo, lo squartarono. Eratostene scriveva: “Ed essendo disceso nell’Ade a causa della sua donna, e avendo visto come sono le cose di laggiù, Orfeo cessò di onorare Dioniso, mentre considerò come massimo tra gli dei Elio, che egli chiamò Apollo. E svegliandosi di notte verso il mattino, per prima cosa sul monte detto Pangaion attendeva il sorgere del sole per vedere Elio. Perciò Dioniso, adirato, gli mandò contro le Bassaridi, come dice Eschilo, il poeta tragico: queste lo sbranarono e dispersero le sue membra, ogni parte del corpo separata dalle altre. Le Muse poi, dopo averle raccolte, le seppellirono nella città chiamata Libetra”. Dopo la morte, l’anima di Orfeo trasmigrò nei Campi Elisi dove, rivestita di una lunga veste bianca, continua a deliziare i beati con i suoi canti; la lira, invece, fu trasportata nel cielo, dove diventò la costellazione Kitara, ovvero Tartaruga, nome ispirato dalla cassa armonica dello stesso strumento inventato da Ermes; anche da Arato la Lira veniva chiamata Piccola Tartaruga. Da questo nome derivano anche quelli successivi di Testudo, Galapago, Belua Aquatica e Testa. |