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ASTROLOGIA IL DELFINO MITOLOGIA GRECA ROMANA
I Greci narravano che Poseidone, volendo sposarsi, scelse una Nereide, Anfitrite, la quale tuttavia non voleva unirsi a lui. Per sottrarsi alla sua corte insistente, la fanciulla si rifugiò sul monte Atlante, in Mauritania, l’attuale Marocco. Il dio incaricò alcuni uomini, fra cui un certo Delfino, di convincerla ad accettare la sua offerta; e Delfino fu così abile da vincerne le resistenze. Per ringraziarlo, Poseidone lo incastonò fra le stelle del firmamento nelle sembianze dell’animale di cui portava il nome. Secondo un’altra interpretazione, meno inverosimile, riferita da Igino, l’immagine del delfino sarebbe stata posta nel cielo da Dioniso per rammentare a tutta l’umanità il castigo inflitto ad alcuni marinai etruschi che dovevano condurre il divino fanciullo, insieme con alcuni compagni, fino a Nasso dove lo aspettavano le ninfe destinate ad allevarlo. Ma durante il viaggio quei mariuoli, sperando di arricchirsi, decisero di rapirlo cambiando rotta. Dioniso, che si era accorto della strana manovra, ordinò ai suoi compagni di cantare in coro. La musica soave e sconosciuta incantò a tal punto gli incauti rapitori che cominciarono a danzare fra loro, finché senza accorgersene, si gettarono in mare trasformandosi in delfini. Questi mammiferi marini erano figure familiari nel Mediterraneo: dolci e ridenti, soccorrevano i naviganti, giocavano con i bambini e li proteggevano. Sui loro salvataggi si narravano tante leggende. La più celebre, rappresentata in un affresco del Domenichino a palazzo Farnese, a Roma, è quella di Arione, un musico del VII secolo a.C., nato nell’isola di Lesbo e autore di celebri ditirambi che non ci sono pervenuti. Erodoto racconta che aveva ottenuto dal suo padrone, il tiranno di Corinto Periandro, il permesso di percorrere la Magna Grecia e la Sicilia guadagnando denaro col canto. Al ritorno s’imbarcò a Taranto su una nave di Corinzi. Quando furono giunti in alto mare, i marinai decisero di gettare Arione in acqua per impossessarsi delle sue ricchezze. Il musico li supplicò invano di risparmiarlo. Gli concessero soltanto la possibilità di scegliere la morte che preferiva: o si toglieva egli stesso la vita, in modo da poter essere sepolto in terraferma, oppure si gettava immediatamente in mare. Arione scelse la seconda soluzione, ma li scongiurò di lasciarlo cantare in piedi sui banchi della nave con tutti i suoi parametri: poi si sarebbe tuffato. I marinai, che desideravano ascoltare quel cantore famoso, si radunarono al centro della nave. Arione indossò i paramenti, afferrò la cetra e dopo aver cantato in onore di Apollo, si gettò in mare. Non sarebbe sopravvissuto a lungo se un delfino, attirato dal suo canto, non lo avesse preso sul dorso portandolo fino al Tenaro. Approdato, si recò a Corinto, dove Periandro, che non riusciva a credere a quella storia inverosimile, lo fece custodire dalle sue guardie sospettando che volesse raggirarlo. Tuttavia, mosso dalla curiosità, volle interrogare anche i marinai. Li fece rintracciare e, celato Arione in una stanza contigua, domandò loro distrattamente se avessero avuto notizie del suo citarista. I furfanti, per nulla insospettiti, gli risposero che si trovava ancora a Taranto in buona salute, colmato di attenzioni e di denaro. Proprio in quel momento il musico apparve loro con la cetra, indossando gli stessi abiti con i quali si era tuffato in mare. A cavallo di un delfino veniva rappresentato Taranto (Taras), secondo la leggenda che narrava il suo mitico arrivo dal mare per fondare l’omonima città: così l’eroe appare ancora oggi sullo stemma civico. A Taranto, figlio di Poseidone e di Satirea, a sua volta figlia di Minosse, era dedicato un santuario eroico. Icadio, figlio di Apollo e della ninfa Licia, diede al suo paese il nome della madre fondandovi la città di Patara, insieme con l’oracolo di Apollo. Poi decise di recarsi in Italia, ma una tempesta lo fece naufragare: quando ormai temeva di morire, un delfino lo prese in groppa trasportandolo fino ai piedi del Parnaso dove egli fondò un’altra città che chiamò Delfi in ricordo del delfino (delphis), suo salvatore. Quel delfino era sacro a suo padre. Si narrava che, quando il dio volle scegliere i sacerdoti per il suo tempio di Delfi, balzò nelle sembianze di un delfino su una nave di mercanti cretesi, a lui devoti, che si stava dirigendo verso la sabbiosa Pilo. Poi li condusse fino al porto di Crisa che si trovava vicino all’oracolo. Prima di entrarvi, Apollo si slanciò dal veliero come una fulgida stella volando fino al penetrale dove accese la sacra fiamma il cui fulgore illuminava tutta Crisa. All’origine dei giochi istmici di Corinto vi era un altro delfino. Dopo la morte della sorella Semele, che aveva generato Dioniso con Zeus, Ino persuase il marito, il re Atamante, ad allevare il neonato insieme con i loro figli, Learco e Melicerte. La dea Era, incollerita perché avevano ospitato il frutto di un amore adulterino del marito, decise di punirli facendoli impazzire. Mentre Atamante uccideva Learco con uno spiedo scambiandolo per un cervo, Ino immergeva Melicerte in un paiolo di acqua bollente e poi, col cadavere fra le braccia, si gettava in mare annegando. Nel punto in cui si era tuffata in acqua, fra Megara e Corinto, un delfino afferrò il corpo di Melicerte e lo portò a riva appendendolo a un pino. Sisifo, il fratello di Atamante che regnava allora su Corinto, trovò il cadavere che pietosamente seppellì; poi gli fece tributare un culto sotto il nome di Palemone, fondando in suo onore i giochi istmici. |