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ASTROLOGIA L'AURIGA E LA CAPRA MITOLOGIA GRECA ROMANA
I mitoastronomi greci seppero facilmente
spiegare la presenza di tutte queste capre narrando che le due ninfe Aix ed
Elice, le balie di Zeus, non avevano latte sicchè dovettero dargli come nutrice
una capra, Amaltea, che lo svezzò. L’animale aveva partorito proprio in quel
periodo due caprettini. Quando Zeus divenne adulto, volle per gratitudine
eternare nel cielo la madre insieme con i due figli. Secondo Igino, quando il
futuro sovrano degli dei stava preparandosi alla guerra contro Crono e i
Titani, l’oracolo gli consigliò, se voleva vincerli, di rivestirsi di una pelle
di capra e della testa della Gorgone che i Greci chiamarono egida. Dopo la
vittoria, il dio volle immortalare la capra nel cielo; e successivamente donò
l’egida ad Atena.
Il mito di Erittonio I Greci identificarono l’Auriga con due personaggi mitologici. Il primo si chiamava Erittonio. Si narrava che un giorno Atena si fosse recata da Efesto perché le fabbricasse delle armi. Il dio, che era stato abbandonato da Afrodite, s’incapricciò di Atena. Ma la vergine Pallade non aveva alcuna intenzione di rinunciare alla sua verginità. Efesto cercava di abbracciarla senza curarsi troppo della sua riluttanza; e mentre la dea si divincolava infastidita eiaculò sulla sua gamba. Atena, disgustata, asciugò lo sperma con una manciata di lana che gettò a terra, e poi si allontanò. La lana cadde nei pressi di Atene fecondando la Madre Terra la quale, partorito un figlio, si rifiutò di allevarlo; sicchè la vergine Glaucopide dovette prendere sotto la sua protezione il neonato che volle chiamare Erittonio, nome che secondo Igino allude alla Terra e al suo disaccordo. Dovendolo tenere nascosto agli altri dei perché voleva renderlo immortale, lo chiuse in una cesta che affidò a Pandroso, una figlia del re dell’Attica, Cecrope, proibendole di aprirla. Ma le sorelle di Pandroso, incuriosite, non riuscirono a resistere alla tentazione e, disubbidendo all’ordine della dea, scoperchiarono la cesta trovando un serpente. Secondo altre versioni del mito, Erittonio aveva soltanto i piedi anguiformi, come d’altronde la maggior parte degli esseri nati dalla Terra. Per la loro disubbidienza le figlie di Cecrope furono castigate da Atena, che le fece impazzire spingendole a gettarsi dall’alto dell’Acropoli. Quanto a Erittonio, allevato dalla dea nel suo santuario, ereditò il trono di Atene da Cecrope o, secondo un’altra versione del mito, spodestò un altro re, Anfizione. Si attribuisce a lui l’organizzazione delle Panatenaiche, le feste in onore della dea il cui simulacro ligneo egli volle innalzare sull’acropoli. Inventò anche la quadriga, che conduceva personalmente. Per tutti questi motivi lo si sarebbe immortalato nel cielo ma senza i piedi anguiformi. Il mito di Mirtilo L’altro personaggio mitologico identificato con l’Auriga è Mirtilo, figlio dell’amazzone Mirte e del dio Ermes e cocchiere del re Enomao. Questi non voleva che la figlia Ippodamia si sposasse perché, come riferiscono alcune versioni del mito, un oracolo gli aveva predetto la morte per mano del futuro genero. Secondo altre versioni, invece, sarebbe stato innamorato della figlia. Per allontanare i pretendenti aveva ideato uno stratagemma: l’avrebbe concessa a chi lo avesse sconfitto in una corsa di bighe. Ogni pretendente doveva ospitare la giovane nel suo carro mentre Enomao, salito su quello reale, avrebbe cercato di raggiungerli: il traguardo era l’altare di Poseidone a Corinto. Si diceva che il re facesse salire la figlia sul carro del pretendente non solo per appesantirlo ma anche per distrarre l’attenzione dell’auriga. Quanto a lui, non aveva nessuna difficoltà a raggiungerli perché possedeva cavalli velocissimi. Dopo la vittoria decapitava l’incauto pretendente inchiodandone la testa alla porta del palazzo per scoraggiare i futuri giovani che avessero voluto sfidarlo. Quando Ippodamia vide arrivare Pelope s’innamorò della sua bellezza. Il giovane, osservando con raccapriccio l’orrendo spettacolo delle teste appese, non si lasciò scoraggiare ed escogitò a sua volta uno stratagemma per non essere sconfitto: convinse l’auriga di Enomao, Mirtilo, segretamente innamorato di Ippodamia, a sabotare la corsa sostituendo i perni delle ruote del carro reale con altri di cera. In cambio gli promise una notte d’amore con la giovinetta e, secondo alcune versioni del mito, persino metà del suo regno, il Peloponneso. Durante la corsa, il carro di Enomao si sfasciò provocando la morte del re. I tre complici fuggirono precipitosamente per sottrarsi alla vendetta della popolazione. Mentre si trovavano nei pressi di capo Geresto, il promontorio meridionale dell’Eubea, Mirtilo cercò di fuggire con Ippodamia, o, secondo altre versioni, di farle violenza approfittando di una breve assenza di Pelope che si era allontanato per cercare una fonte. Al suo ritorno, di fronte alle proteste della giovane, Pelope gettò Mirtilo dall’alto del promontorio facendolo precipitare in mare, dove morì. L’auriga, cadendo, scagliò una maledizione contro Pelope e il suo casato, che da quel momento fu segnato da continue tragedie (si pensi ad Atreo, Tieste, Agamennone). L’ Auriga come Fetonte Ma vi è una terza tradizione mitica che identifica l’Auriga con Fetonte, il figlio di Elio che, dopo aver perso il controllo del carro solare provocando sconvolgimenti terribili al cosmo, venne folgorato da Zeus affinchè non commettesse ulteriori disastri e cadde nell’Eridano. Nonno scrive a questo proposito: “Ma il padre Zeus pose Fetonte nell’Olimpo quale Auriga e con tale nome. Poiché regge con luminoso braccio il Cocchio radioso dei cieli, egli ha la forma di un’Auriga che si slancia in corsa, quasi che anche tra le stelle bramasse ancora il carro del padre. Anche il fiume combusto dal fuoco [l’Eridano in cui egli cadde] salì alla volta stellata con il consenso di Zeus, e nell’orbe stellato s’avvolge la corrente tortuosa dell’ardente Eridano”. |