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IL CANE MAGGIORE E IL CANE MINORE MITOLOGIA GRECA ROMANA
Il Cane Maggiore Alcuni mitografi sostenevano che la costellazione rappresentasse il cane Lelape, così veloce che nessuna preda era mai riuscita a sfuggirgli. Altri invece narravano che era il cane posto da Zeus a guardia di Europa: successivamente lo aveva ereditato Minosse, sovrano di Creta. Un giorno il re regalò il portentoso animale, insieme con un giavellotto che non mancava mai il bersaglio, a una donna di nome Locri perché l’aveva guarito da una malattia gravissima. Il secondo dono fu per lei funesto perché un giorno, sospettando ingiustamente che il marito Cefalo la tradisse, decise di sorprenderlo celandosi in un cespuglio. Ma l’uomo, udendo muoversi qualcosa nella macchia, lanciò in quella direzione l’infallibile giavellotto che la ferì mortalmente. Dopo la tragedia familiare l’involontario uxoricida, condannato all’esilio, si recò insieme con il cane fino a Tebe dove si era abbattuto un flagello: una volpe ferocissima stava devastando la campagna ed era così astuta e veloce che nessun cacciatore era mai riuscito a ucciderla. Cefalo sguinzagliò Lelape che si lanciò in una corsa vertiginosa. Ma la volpe sapeva astutamente sfuggirgli. In quella caccia senza esito i due animali si equivalevano per bravura e agilità; finchè Zeus decise di tramutarli equanimamente in pietre. Secondo un’altra interpretazione, la costellazione avrebbe rappresentato il cane di Orione che gli dei vollero incastonare nel cielo accanto al gigante perché se ne ricordasse la passione per la caccia. Altri infine sostenevano che fosse la cagna di Icario, al quale si attribuiva la diffusione della coltura della vite e la tecnica della preparazione del vino nell’Attica. Dioniso, che apprezzava la pietà e l’equità di Icario, gli aveva insegnato a coltivare la pianta e a ottenerne la divina bevanda. Un giorno Icario, caricato il vino su un carretto, stava attraversando con la cagna Maera i boschi di Maratona presso il monte Pentelico quando incontrò dei pastori ai quali volle generosamente donare un otre colmo di vino. Alcuni tra questi, avendolo bevuto senza diluirlo nell’acqua, come più tardi Enopione avrebbe consigliato loro di fare, si addormentarono; altri, inebriati, gesticolavano o assumevano atteggiamenti sconvenienti. Chi era rimasto sobrio cominciò a sospettare che quell’uomo avesse voluto avvelenarli. La voce corse fra i pastori che, sdegnati, lo uccisero per poi gettarlo in un pozzo; oppure, secondo un’altra versione, lo seppellirono ai piedi di un albero. Quando gli altri pastori si furono risvegliati dal sopore, raccontarono che mai avevano gustato un sonno tanto piacevole e andarono alla ricerca di Icario per ricompensarlo. Gli assassini, temendo di essere castigati, fuggirono nell’isola di Ceo senza rivelare il luogo dove lo avevano sepolto. Nel frattempo la figlia di Icario, Erigone, sconvolta per la lunga assenza del padre, lo stava cercando. Un giorno le venne incontro la cagna Maera, che aveva assistito all’assassinio e al seppellimento. Guaiva così disperatamente che Erigone intuì quel che era successo. Per ritrovare il padre le mise tra i denti un lembo di una veste di lui, e la cagna la condusse fino al luogo dov’era stato sepolto, all’ombra di un pino. La fanciulla, disperata, s’impiccò ai rami di quell’albero; e a sua volta la cagna si gettò in un pozzo chiamato Anigro. Zeus, impietosito dalla sventurata famiglia, volle rappresentarla fra gli astri: Icario in Boote, Erigone nella Vergine e la cagna nel Cane Maggiore. Il Cane Minore In Grecia il Cane Minore fu erroneamente confuso talvolta con quello di Icario, Maera. Altri mitografi invece lo identificavano con uno dei cani di Atteone, il quale un giorno, mentre se ne stava appoggiato a una roccia nei pressi di Orcomeno, sorprese involontariamente Artemide mentre si bagnava in un fiume. La dea, offesa per essere stata vista nuda da un mortale, lo trasformò in un cervo che fu divorato dai suoi cani. |