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ASTROLOGIA PERSEO MITOLOGIA GRECA ROMANA
Secondo la tradizione mitica, Perseo discendeva da Abante, re dell’Argolide, un guerriero così temuto che anche dopo la sua morte bastava mostrarne lo scudo ai nemici per metterli in fuga. Abante aveva avuto da Aglaia due figli gemelli, Acrisio e Preto, che avevano cominciato a litigare fra loro sin dal grembo materno; sicché il padre, prima di morire, per scongiurare guerre fratricide aveva raccomandato loro di regnare a periodi alterni. I litigi s’inasprirono quando Preto sedusse la figlia di Acrisio, Danae, e infine sfociarono in guerra aperta; nessuno dei due eserciti riusciva però a prevalere sull’altro, così fu giocoforza dividere il regno in due parti: Acrisio regnò su Argo e dintorni; Preto su Tirinto, il santuario di Era, Midea e la costa dell’Argolide. Acrisio, che aveva avuto dalla moglie Aganippe soltanto la figlia Danae, era preoccupato perché gli mancava l’erede maschio che ne ereditasse il regno. E l’oracolo, al quale si era rivolto domandandogli come avrebbe potuto ottenere un figlio, gli aveva risposto: “Tu non avrai figli e tuo nipote ti ucciderà”. Per impedire che la profezia si avverasse, chiuse Danae nella torre più alta della città dove le porte di legno furono sostituite con altre di bronzo mentre cani ferocissimi impedivano a chiunque di avvicinarsi. Ma Zeus, avendo adocchiato da tempo la bella principessa, decise di sedurla trasformandosi in una sottile pioggia d’oro che, scendendo dal cielo, penetrò prodigiosamente fra le chiusure ermetiche della torre e, posandosi sul grembo di Danae, le generò un figlio chiamato Perseo. I vagiti del bambino rivelarono la sua nascita ad Acrisio, che pensò fosse il frutto dell’incesto. Era furibondo ma non aveva il coraggio di uccidere figlia e nipote; preferì racchiuderli in un’arca di legno che affidò alle onde del mare. L’arca fu spinta fin nei pressi dell’isola di Serifo, dove un pescatore di nome Ditti la ripescò. Quando l’ebbe aperta, vi scoprì Danae e Perseo ancora in vita: subito li condusse dal fratello, il re Polidette, che, colpito dalla bellezza di Danae e dall’espressione inconsueta del bambino, decise di accoglierli nel suo palazzo. Perseo cresceva a Serifo primeggiando fra i compagni nel lancio del disco e nella lotta, e nonostante la giovane età doveva proteggere la madre dalle offerte incalzanti di Polidette che voleva sposarla, incoraggiato dagli stessi sudditi. Siccome la presenza di Perseo era un ostacolo, il re concepì un piano ingegnoso per liberarsi del giovane. Fingendo di aspirare alla mano di Ippodamia, figlia di Pelope, riunì i suoi amici chiedendo loro che contribuissero al dono nuziale con un cavallo a testa perché non voleva sfigurare di fronte agli altri pretendenti. Tutti acconsentirono tranne Perseo, che non possedeva né cavalli né oro. “Tuttavia” disse costui “se vuoi sposare Ippodamia invece di mia madre, vedrò di procurarti qualsiasi dono tu mi chieda… Anche la testa della Gorgone Medusa, se fosse necessario” soggiunse imprudentemente. Polidette accettò subito la proposta, perché si considerava la Medusa invincibile: era una delle tre mostruose Gorgoni che abitavano nell’estremo Occidente, non lontano dal regno dei Morti. Soltanto lei, la Gorgone per eccellenza, era mortale. Era stata Atena a trasformare le tre donne in mostri. Si narrava che Medusa, una bella giovane dai capelli dorati, figlia di due divinità marine, aveva suscitato l’amore di Poseidone. Per sedurla, il dio azzurrocrinito, come lo definiva Esiodo, si era mutato in un uccello e con un espediente l’aveva posseduta nel tempio di Atena mentre lei stava officiando. La dea, furibonda per la profanazione del luogo sacro, l’aveva trasformata insieme con le sorelle, Euriale e Stenno, in altrettanti mostri: le loro teste erano coronate di serpenti, avevano grosse zanne simili a quelle dei cinghiali, mani di bronzo e ali d’oro che permettevano loro di volare. Lo sguardo era così penetrante che chiunque lo avesse fissato anche soltanto per un istante sarebbe stato pietrificato. Atena aveva udito il dialogo fra Perseo e Polidette, ed essendo nemica di Medusa decise di proteggere il giovane nella sua disperata impresa. Dapprima lo condusse nell’isola di Samo, dove si potevano vedere i simulacri delle tre Gorgoni, affinché imparasse a distinguere Medusa dalle sorelle; poi gli consigliò di non fissarla mai direttamente perché ne sarebbe stato pietrificato, ma di guardare soltanto la sua immagine riflessa in un lucidissimo scudo d’oro che gli volle donare. Anche Ermes decise di aiutare Perseo regalandogli un falcetto affilatissimo con il quale avrebbe potuto decapitare Medusa. Ma all’eroe mancavano ancora tre cose indispensabili all’impresa: un paio di sandali alati per spostarsi rapidamente, una sacca magica per riporvi la pericolosa testa della Medusa e l’oscuro elmo di Ade che rendeva invisibili. Tutti quegli oggetti venivano custoditi dalle ninfe Stigie, la cui dimora nessuno conosceva, tranne le tre Graie dal corpo di cigno, sorelle delle Gorgoni, le quali avevano un solo occhio e un solo dente che si scambiavano continuamente fra loro: l’occhio dava la facoltà della percezione, il dente quella divinatoria. Dopo un lungo e faticoso viaggio verso il regno della Morte, Perseo giunse in vista dei tre grandi troni dove sedevano le ninfe-cigni. Attese pazientemente il momento dello scambio dell’occhio e del dente per appropriarsene con uno scatto mercuriale. Dalle Graie seppe dove vivevano le ninfe Stigie, che gli consegnarono i sandali, la sacca e l’elmo. Ora finalmente possedeva tutti gli strumenti adatti alla pericolosa impresa. Volò verso la terra degli Iperborei dove trovò le Gorgoni addormentate fra grigie statue di uomini e belve pietrificate. Reso invisibile dall’elmo, camminò all’indietro fissando lo sguardo sull’immagine di Medusa riflessa dallo scudo. Giunto accanto al mostro, di cui sentiva il fiato nefasto e i sibili dei serpenti fra i capelli, lo decapitò con un sol colpo del falcetto: ed ecco che dalla sanguinante ferita uscirono prodigiosamente il cavallo alato Pegaso e il guerriero Crisaore con una falce dorata in mano. Erano le due creature generate da Poseidone a Medusa nel tempio di Atena. Essendo invisibile, Perseo riuscì a passare inosservato; lesto, raccolse la testa del mostro nella sacca e volò via temendo la vendetta delle altre sorelle. Mentre sorvolava la Mauritania durante il viaggio di ritorno, decise di chiedere ospitalità ad Atlante per riposare presso il giardino delle Esperidi, nell’estremo Occidente. Ma il titano, al quale era stato predetto l’arrivo di un figlio di Zeus che lo avrebbe derubato delle mele d’oro, rifiutò sgarbatamente l’ospitalità non sapendo che l’oracolo alludeva a Eracle. L’eroe, per punirlo di una così grave offesa, estrasse dalla sacca la testa della Medusa. La metamorfosi di Atlante fu istantanea: il corpo e il capo si trasformarono in una catena di montagne su cui si posò il cielo con tutte le sue stelle. Poi Perseo riprese il volo. Giunto sulla Libia, gettò nel lago Tritonide l’occhio e il dente delle Graie, ma nel richiudere la sacca alcune gocce di sangue di Medusa caddero sul deserto trasformandosi in molti serpenti velenosi. Dopo essersi fermato a riposare a Chemmi, in Egitto, si mise nuovamente in viaggio finché giunse sulla costa della Filistia, dove vide una giovane donna nuda incatenata a uno scoglio: era Andromeda, figlia del re Cefeo e della regina Cassiopea. |