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ASTROLOGIA ERCOLE MITOLOGIA GRECA ROMANA
L’ Inginocchiato ovvero Ercole L’eroe, dopo aver rubato i buoi a Gerione, stava tornando dalla penisola iberica quando, attraversando il territorio dei Liguri, venne assalito dagli indigeni che volevano impadronirsi della mandria. Cominciò a combattere contro di loro, ma a un certo punto rimase senza frecce rischiando di essere ucciso dalla massa di gente che lo stava attorniando e già lo aveva ferito più volte. Allora s’inginocchiò, invocando il padre Zeus che, impietosito, fece apparire miracolosamente un mucchio di pietre accanto a lui in modo da permettergli di cacciare i nemici. Infine il sovrano degli dei volle immortalare l’episodio nel cielo con la figura che ricorda quella battaglia. Areteo di Tegea congetturava che l’immagine astrale fosse quella di Ceteo, figlio di Licaone e di Megisto. Appoggiato su un ginocchio, tendeva le mani al cielo supplicando gli dei perché gli rendessero la figlia trasformata in Orsa. Secondo Egesianatte, un grammatico e storico vissuto nel II secolo a.C. e autore dei Fenomeni, la figura rappresentava Teseo che sollevava la roccia di Terzene. Narrava un mito che Egeo aveva posto una spada sotto quella roccia ordinando a Etra, madre dell’eroe, di non inviare il ragazzo ad Atene prima che fosse capace di sollevare il masso e di riportare la spada al padre. Vi era poi chi vedeva in quella figura l’aedo trace Tamiri, che le Muse non soltanto avevano accecato ma anche privato della sua arte perché si era vantato di poterle vincere nelle gare poetiche. La Freccia ed Ercole Pur non trovandosi vicina a Ercole, la costellazione della Freccia (Sagitta), situata sopra le stelle dell’Aquila, è mitologicamente collegata all’eroe greco e a Prometeo, figlio del titano Giapeto e dunque cugino di Zeus. Prometeo era considerato tradizionalmente il benefattore dell’umanità, come narrava Esiodo nella Teogonia, e proprio per aiutare gli uomini aveva ingannato Zeus. Gli antichi infatti compivano sacrifici agli dei immortali consumando nella fiamma rituale tutta la vittima. Siccome il suo costo elevato non permetteva ai poveri di offrire sacrifici, Prometeo aveva ottenuto da Zeus che una parte dell’animale gettato nel fuoco del sacrificio servisse per il nutrimento dei mortali. Un giorno a Mecone, durante un solenne sacrificio, egli aveva diviso un bue in due parti: nella prima aveva messo carne e viscere coprendole col ventre dell’animale; nell’altra aveva disposto le ossa spolpate ponendo su di esse uno strato di grasso bianco. Poi aveva chiesto a Zeus di scegliere egli stesso la sua parte. Il dio scelse consapevolmente il bianco grasso che celava soltanto spolpate ossa. Da quel momento, commenta Esiodo, “la stirpe degli uomini mortali brucia ossa bianche sugli altari odorosi”. La punizione non tardò a giungere e fu terribile: gli uomini vennero privati del fuoco. Allora Prometeo decise di soccorrerli con un piano ingegnoso. Chiese ad Atena di farlo entrare nascostamente nell’Olimpo dove accese una torcia al carro infuocato del Sole e ne staccò una brace ardente che poi celò in un gigantesco finocchio. Spenta la torcia, sgattaiolò via senza che nessuno lo vedesse e ridonò il fuoco agli uomini. Zeus, irato, decise di punire l’umanità mandandole il flagello di Pandora. Quanto a Prometeo, lo incatenò su una gelida vetta del Caucaso con lacci d’acciaio e inviò un’aquila, nata da Echidna e da Tifone, a divorargli perennemente il fegato che perennemente si rigenerava. Da quello spaventoso supplizio venne liberato grazie a Chirone. Questi, infatti, in una battaglia di Eracle contro i Centauri, era stato colpito per errore dalla freccia avvelenata scoccata dall’eroe, e non sopportando più il dolore della ferita cercava qualcuno disposto ad accettare la sua immortalità. Fu lo stesso Eracle a chiedere a Zeus di concedere la morte a Chirone in cambio della libertà a Prometeo. Il sovrano degli dei accettò, anche perché Prometeo gli aveva reso nel frattempo un grande servizio. Un giorno Zeus decise di sposare la riluttante Teti, sedotto dalla sua bellezza; ma le Parche avevano predetto che chiunque l’avesse presa in moglie avrebbe generato un figlio capace di detronizzarlo. Prometeo, che aveva facoltà divinatorie, si affrettò ad avvertirlo del pericolo che correva; e il dio, rammentandosi del padre Crono, preferì rinunciare a Teti. Eracle poté così liberare Prometeo; e l’eroe, invocando Apollo cacciatore, trafisse con una freccia l’aquila. Quella freccia sarebbe poi stata incastonata nel cielo per ricordare l’avvenimento. Quanto a Prometeo, Zeus volle che da allora in poi portasse a un dito un segno che ricordasse la sua dipendenza dagli dei: un anello di ferro e pietra. Gli uomini, spiega Igino, hanno adottato questa usanza per sdebitarsi nei confronti di Prometeo; il quale ricevette anche una corona per affermare la sua vittoria finale e l’immunità dalla sua colpa: “Così gli uomini al colmo dell’allegria e dopo una vittoria hanno stabilito di portare delle corone, come si vede nelle gare e nei banchetti”. Ecco due esempi di comportamenti mitici che diventano modelli per l’umanità. Eratostene invece identificava la Freccia con quella mortale scagliata da Apollo contro i Ciclopi. Il dio li considerava infatti responsabili della morte del figlio Asclepio perché avevano forgiato il fulmine con il quale Zeus lo aveva ucciso. Compiuta la vendetta, Apollo aveva sotterrato la freccia sul monte Iperboreo. Quando, più tardi, Zeus ebbe perdonato il vendicativo arciere, il vento gliela riportò con alcuni steli di grano che le erano rimasti attaccati. Grazie a essa gli Elleni poterono finalmente conoscere il frumento: perciò venne eternata nel firmamento. Germanico Cesare la identificò infine con la freccia scoccata da Eros che aveva destato in Zeus la passione per il pastorello Ganimede. Secondo Germanico la Freccia è presidiata in cielo dall’Aquila di Zeus, come testimonia la loro vicinanza. Schiller infine, nel suo cielo cristianizzato, la trasformò nella Lancia che il centurione romano aveva infilato nelle costole del Cristo. |