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ASTROLOGIA SEGNO ZODIACALE ARIETE MITOLOGIA GRECA ROMANA
Il mito più celebre narra che il tessalo
Issione, re dei Lapiti, aveva chiesto al re Deioneo la mano della figlia Dia
promettendogli sontuosi regali. Ma quando, celebrate le nozze, Deioneo reclamò
i doni pattuiti, Issione lo fece precipitare a tradimento in una fossa piena di
carboni ardenti. Aveva commesso un crimine inaudito non soltanto macchiandosi
di spergiuro ma anche di omicidio nei confronti di un membro della famiglia.
L’orrore suscitato dal delitto impedì a uomini e dei di purificarlo secondo la
tradizione. L’unico ad averne pietà fu Zeus, il quale gli concesse la sovrana
grazia di liberarlo dalla follia che lo aveva colpito come punizione. Ma
Issione, invece di dimostrare la sua gratitudine al dio, tentò di usare
violenza a Era di cui si era invaghito. Zeus decise di castigarlo severamente
creando un nuovo essere, Nefele, una nuvola che aveva le sembianze della
moglie: Issione, ingannato dalla somiglianza, si accoppiò con lei generando i
Centauri. Il dio supremo, sdegnato per la sua slealtà, lo legò a una ruota
infuocata lanciandolo nel cielo dove sarebbe rimasto in eterno perché durante il
rito purificatorio si era cibato di ambrosia diventando immortale. Quanto a
Nefele, era rimasta sola a vagare tristemente per l’Olimpo. Un giorno Era,
mossa da compassione, la diede in sposa ad Atamante, re di Coronea, in Beozia:
da quell’unione nacquero un figlio, Frisso, e una figlia, Elle. Successivamente
Atamante, ripudiata Nefele, sposò Ino generando altri due figli. La nuova
moglie, non sopportando la presenza dei figliastri, architettò un piano
criminoso per farli condannare a morte. Cominciò col persuadere le donne del
paese a far tostare, all’insaputa dei mariti, i chicchi che servivano per la
semina del grano: sicchè in primavera non spuntò nemmeno una piantina.
Preoccupato, Atamante inviò alcuni legati a consultare l’oracolo di Delfi. I
messaggeri, subornati dalla moglie, riferirono che il dio, per far cessare la
carestia, esigeva il sacrificio di Frisso e della sorella. Nefele decise di
soccorrere i figli inviando loro un alato ariete dal vello d’oro che, rapiti i
due giovani, si diresse verso oriente. Mentre sorvolavano il tratto di mare che
separa l’Europa dall’Asia, Elle scivolò dalla groppa dell’animale precipitando mortalmente
in quelle acque che da allora si chiamarono in suo onore Ellesponto. Frisso
invece riuscì a raggiungere la Colchide, situata nella zona orientale del mar
Nero, dove regnava un figlio di Elio, Eete. Appena giunto, il giovane sacrificò
l’ariete a Zeus e ne inchiodò il Vello d’oro a una quercia, nel bosco sacro ad
Ares. Nefele, a sua volta, pose l’immagine dell’ariete salvatore nel cielo da
dove, scrive Igino “governa la stagione dove si semina il grano, quel grano che
Ino aveva fatto seminare dopo aver ordinato che fosse tostato”. Secondo
Eratostene fu lo stesso ariete a spogliarsi del Vello d’oro, donandolo come
ricordo a Frisso, e a salire al cielo; per questo motivo “sembra splendere
poco”. In effetti la costellazione, che si può osservare bene lungo la zona
meridionale dell’eclittica fra ottobre e febbraio, è poco appariscente. Del
Vello d’oro s’impadronì Giasone nella mitica impresa degli Argonauti. Il
sacrificio dell’animale ricorda quello che veniva celebrato su una montagna,
dai pastori, durante l’equinozio di primavera, per propiziare nuove piogge.
Graves rammenta che si sacrificava un ariete a Zeus sul monte Pelio, non
lontano dal Lafistio, quando questa costellazione era in ascesa nel mese che
cominciava con l’equinozio. Il Vello d’oro, appeso in un giardino che, oltre a
essere sacro ad Ares, si trovava nel territorio di un figlio di Elio,
simboleggiava non soltanto il rinnovamento solare dell’equinozio ma anche
un’aurea trasmutazione. E non casualmente, secondo la Genesi, Abramo sacrifica un
ariete invece del figlio: immagine profetica del Cristo salvatore dell’umanità,
la cui Pasqua è festeggiata prevalentemente nel segno dell’Ariete dove il Sole,
un’altra immagine del Salvatore, è esaltato.
Il Triangolo Fra Andromeda incatenata e l’Ariete si è disegnato nel cielo un triangolo rettangolo molto allungato. Omero, Eratostene e Callimaco chiamavano questa costellazione Trinakrie o Trinakris perché ricordava la forma della Sicilia, che i marinai fenici e greci soprannominavano “Terra dei tre capi” per i suoi angoli geografici: Peloris a nordest, Pachinos a sudest e Lilybaion a ovest, ora detti rispettivamente capo del Faro, Pachino e capo Boreo o Lilibeo. D’altronde la più arcaica dea dell’isola, Ibla, era rappresentata triplice come la Luna che ha tradizionalmente “tre facce”: entrambe epifanie della Grande Madre. Il suo simbolo era il triscele (dal greco triskeles, “con tre gambe”), una figura con tre gambe che si dipartono da un centro comune; simile alla croce gammata, simboleggiava l’eterno ruotare del tempo circolare intorno a un punto fisso. Con l’invasione greca, Ibla venne identificata con Demetra, la Grande Madre che presiedeva all’eterno ciclo vita-morte-vita degli esseri animati e della vegetazione, in modo particolare a quello del grano. |